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Hanno detto di Lei

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(dal libro "Omaggio a Renata Tebaldi" di Paolo Isotta - Edizioni del Teatro alla Scala 2002)

La nostra tesi è dunque che per la  suprema artista, quale la signorina Renata è, canto incanto sono una cosa sola.

L'incanto, la melodia cantata, è l'anima del canto. Se lo si conquista, è più forte del canto stesso strettamente inteso.Voglio ripetere: l'incanto, che si identifica con la perfezione della melodia cantata, è così forte da contenere in sè la cosidetta "espressione" pur se, ipotizziamo, quel che la scuola di canto, volgarmente intesa, afferma, tale "espressione" considerata non spinta all'estremo, ma solo oggetto d'allusione elegante. Questo è vero in linea di principio, e mi preme lo sia in linea di principio perchè in linea di principio rende non errato, superfluo il confronto fra la signorina Renata e altre artiste. Il confronto è superfluo in fatto giacchè la tesi, una volta che si ascolti il canto della signorina Renata, è dimostrata vera in fatto. In fatto tutto quel che esce dalla voce della signorina Tebaldi rappresenta il culmine di ciò ch'è recte "espressione".

Coloro che non hanno compreso l'arte della signorina Renata adducono a suo carico una ricerca del "bel suono" a discapito dell'"espressione". Quanto precede confuta sotto ogni profilo la grossolana interpretazione. Occorre invece, superare lo scoglio, chiarire che cosa per "bel suono", nel caso della signorina Renata s'intenda. Prima facie, e se facciamo parlare la grande artista, il "bel suono" è il presupposto del canto, qualsiasi cosa si abbia a cantare, qualsiasi

personaggio si abbia interpretare. Ancora una volta eccesso di modestia e sancta simplicitas si mescolano nell'interpretazione che la Tebaldi dà di se stessa. Se è vero che il "bel suono" è presupposto, non meno vero è ch'esso è conquista. Facile conquista, potrà affermare ciascuno di noi. "Di voci così ne nascono una, forse due in un secolo!", ebbe a dire Riccardo Zandonai quando la grande, artisticamente e umanamente, Carmen Melis portò la ragazzina, studentessa di pianoforte che ispirandosi ai tasti ne imitava vocalmente il suono, a un'audizione con l'illustre compositore. E' vero: la Tebaldi partì incomparabilmente favorita. Fosse stata contente al quia, vale a dire se ne fosse rimasta lì, considerando il parere del Maestro un punto di arrivo, non sarebbe stata molto diversa da certe protagoniste di carriere fulminee che si vedono oggi. Carriere fulminee incomincianti e terminanti quasi simultaneamente e che, per di più, partono da un organo vocale nemmeno alla lontana paragonabile con quello della Tebaldi. Partenza incomparabilmente favorita, dunque; poi studio. Profondo, duro, ma non "matto e disperatissimo", per fortuna della Tebaldi e nostra; giacchè in aggiunta al dono della voce ella possedette quello d'un carattere sereno e delicato, sebbene d'un imparagonabile senso della dignità personale: Sereno: lo studio, che noi sappiamo, come il canto sulla scena, esser stato per lei sempre sacrificio, effusione, dono, per di lei dichiarazione a chi scrive fu sempre considerato lieta fatica. "Mi riusciva facile e veloce": e qui ci si domanda se il prodigio fosse ulteriore, o ulteriore il minimizzare se stessa proprio della creatura angelica. Certo sappiamo esser prodigiosi nella Tebaldi i tempi di memorizzazione d'una parte nuova. Ma memorizzazioni, a dir così in superficie, nella musica, segnatamente nel canto, ve ne sono sempre state e ve ne sono tuttavia. "Mettere la parte in gola", o "in voce", come si dice in gergo, è tuttal'altro. E' lo studio profondo in base a che qualsiasi nota, poi la frase musicale, poi l'intero pezzo chiuso, indi l'opera intesa quale sintesi, trovano il perfetto punto d'appoggio della voce.

Allora i fiati regolari e lunghissimi hanno accompagnato la signorina Renata lungo tutto il suo cammino artistico: se non che,  a un certo momento, l'autoanalisi implacabile da lei praticata sul suo organismo e il di lui dominio artistico le fecero varcare l'ultima soglia. Ella trovò un'ulteriore distensione del diaframma e il definitivo "punto d'appoggio" per il fiato. A quel punto il timbro argentino divenne oro sfolgorante, la "ragazza" divenne "donna". Alla "ragazza" corrispondeva, oltre che il timbro già detto, un carattere fisico e psicologico di piena italianità, ma maestoso e pieno, è quello della "donna".

Quando ascolti le medesime partiture da lei interpretate nei diversi periodi, ti è difficile scegliere: ogni volta preferisci ciò che stai ascoltando: Sono miracoli di natura e arte incomparabili in ambo i casi.


.......la Sua voce ha incantato gli appassionati di musica di tutto il mondo, da Reykjavik, nella remota Islanda, in un memorabile concerto diretta da Vladimir Askenazij, ai teatri del Giappone, a Mosca dove, accolta come icona del bel canto, ha infiammato il pubblico dell'enorme Dvorietz Siesdov(Palazzo dei Congressi) là dove lo stesso pubblico era uso ascoltare ben altri suoni.

Più di qualsiasi parola, più di qualsiasi scritto il peso storico che la Sua grande Desdemona, la Sua tragica Tosca, la Sua struggente Mimì, la Sua appassionata Manon hanno assunto: esempi per il futuro, indelebili ricordi per chi ha avuto la fortuna di udirne l'esecuzione da quella voce che dell'angelo aveva il suono e della donna il cuore. (Giannino Tenconi)


 (da "Memorie di un ascoltatore" di Rodolfo Celletti 1987).

..........intanto s'era venuto placando l'acclamazione che aveva salutato la romanza di Rodolfo e la "donna" stava per scendere in campo. Alla sua figura imponente nessuno aveva badato, fino allora, a maggior ragione perchè era seduta, all'inizio del racconto di Mimì. Ma quando, dette le prime frasi, s'arroventò e venne a cantare fin quasi al proscenio, io subito pensai che raramente avevo visto Mimì più bella. il canto, in un certo senso, la trasfigurava, dava ai tratti del viso espresioni intense, appassionate, luminose. Avvertivi una partecipazione intima, una foga schietta, un'effusione sentimentale piena di palpiti, più ancora che di vibrazioni. Ma poi la voce. Era una voce per la quale si poteva spendere

qualsiasi aggettivo senza mai cadere in contraddizione. La compattezza, la sonorità, lo squillo erano tutt'uno con il velluto, la dolcezza, il calore, il languore; e il modo di fraseggio non li ho mai trovati in nessun'altra voce.

Intanto il 31 Gennaio 1955 Renata Tebaldi aveva iniziato, con l'Otello, la sua favolosa carriera al Metropolitan di New York (una carriera che tuttora vede in lei uno degli astri del grande teatro di New York). Quando tornò alla Scala, nel 1950-60, per Tosca e Andrea Chenier, mi mancò la possibilità di andarla ad ascoltare. Erano quindi anni che non sentivo Renata Tebaldi dal vivo. L'ho seguita attraverso i dischi, in Boheme e in Otello la ritengo inarrivabile. Forse ancor più in Boheme che in Otello.

Nel 1985, alla radio, mi accadde di dover illustrare il personaggio di Mimì attraverso i dischi delle più grandi interpreti, dalla Muzio alla Albanese, dalla Favero alla De Los Angeles dalla Olivero alla Scotto. In una simile parata di fuoriclasse, Renata Tebaldi fu forse superata in qualche dettaglio ora dall'una ora dall'altra, ma la regina era indubbiamente lei. E non soltanto per merito della voce. Certo una voce così dolce e così ampia, al tempo stesso, così duttile nei suoni assotigliati e sfumati e così calda nelle espansioni e negli slanci, non poteva non delineare una Mimì assolutamente eccezionale. Quanto squillo, quante vibrazioni, quanta ricchezza e ampiezza di cavata, in frasi come "il primo bacio dell'aprile è mio" oppure nel duettino con Marcello all'inizio del terzo atto! Tutte cose da far invidia a un'infinità di Aide, di Leonore di Vargas, di Santuzze e di Fedore di oggi, di ieri e fors'anche dell'altro ieri.

Eppure questi suoni sfarzosi, imponenti. quasi prepotenti, che proprio per il loro vigore deformerebbero qualsiasi Mimì sulla bocca di altre cantanti, imponendole una carica drammatica che il personaggio mite, fragile, dolce, non sopporta, nel caso di Renata Tebaldi rappresentano proprio ciò da cui scaturisce una Mimì a mio avviso unica, vocalmente. Per effetto della straordinaria dolcezza dell'impasto, si potrà pensare: sì, anche per questo; ma non dimentichiamo l'espressione. E qui veniamo al punto. Ciò che, a mio parere,  fa di Renata Tebaldi una cantante di statura storica è da ricercare sopratutto nella sua capacità di inserire, nel ritratto di un personaggio di stampo elegiaco-sentimentale, tante gradazioni di colori e di intensità da poter abbracciare l'intera tavolozza che va dal soprano lirico-leggero al soprano drammatico. Questo s'intende, insieme a una gran voce, una grande tecnica, un'emissione levigata, netta, morbida; e implica anche un gioco di legature e di portamenti regolato con mano maestra. E infatti i legati e i portamenti di Renata Tebaldi, affidati a una fluidità esemplare e a una capacità di fiati portentosa, rappresentano una delle pagine più splendenti della storia della vocalità del nostro secolo.